La recente sentenza del 25 maggio 2023 n. 23014 con la quale la Corte di Cassazione ha confermato la condanna del vice Presidente (ed ex Presidente) senza deleghe del CdA di una società consortile cooperativa a responsabilità limitata per il reato di bancarotta impropria da false comunicazioni sociali apre a numerosi interrogativi.
In estrema sintesi, per via delle mendaci appostazioni a bilancio la società aveva occultato l’esistenza di perdite rilevanti proseguendo l’attività di impresa in difetto dei presupposti di legge, senza disporre la propria ricapitalizzazione o liquidazione e aveva anzi deliberato e ottenuto nuovi finanziamenti bancari che ne avevano aggravato l’esposizione debitoria.
Nella motivazione della sentenza la Corte ha innanzitutto argomentato lungamente sui limiti delle proprie facoltà di esprimere considerazioni e valutazioni sulle prove assunte nei gradi di merito purché non trovino riflesso in una motivazione evidentemente (“ictu oculi”) illogica, per poi postulare il seguente principio di diritto: “Nelle srl, nelle spa e nelle soc. coop. che si siano dotate di un organo amministrativo collegiale (il CdA) non può essere delegata ad uno dei propri membri l’attività (e la responsabilità) per la redazione del bilancio ex art. 2381 c. 4 cod. civile”.
Per questa ragione i membri del CdA che non abbiamo rispettato il principio e connesso obbligo di “agire informato”, che impone un voto consapevole supportato dall’assunzione di opportune informazioni, rispondono solidalmente sul piano patrimoniale per i danni provocati alla società in caso di inosservanza dei doveri di legge o statutari (salvo attribuzioni proprie del comitato esecutivo o ad una parte del CdA) e, stando alla lettera della sentenza, rispondo penalmente qualora ne venga provato il dolo (anche eventuale).
La verbalizzazione del dissenso di un membro del CdA, prosegue la motivazione, costituisce certamente un riparo per il membro dissidente dalle suddette responsabilità.
In particolare, nel caso esaminato dalla Suprema Corte e ricostruito a seguito della copiosa attività dei consulenti della Procura, il vice Presidente senza deleghe del CdA veniva condannato in quanto in sede di redazione e approvazione del bilancio (attività – come detto – non delegabile) non avrebbe espresso e verbalizzato il proprio dissenso nonostante:
(1) ci fossero evidenti incongruenze nei bilanci nonché un attivo incompatibile con l’attività d’impresa;
(2) fosse stato omesso il depositato dell’ultimo bilancio;
(3) fossero intervenute le dimissioni in blocco dell’organo amministrativo prima dell’approvazione del suddetto bilancio – segno, secondo i Giudici di merito, della consapevolezza della falsità delle appostazioni contenute nei precedenti bilanci che sarebbero inevitabilmente confluite nell’ultimo;
(4) il CdA avesse deliberato la richiesta di accesso al credito bancario (successivamente concesso) incrementando quindi il dissesto della società – circostanza dalla quale sarebbe dipesa la contestazione del reato di bancarotta impropria a seguito della sentenza dichiarativa di fallimento.
Una sentenza, questa, che certamente deve stimolare un’articolata riflessione in ordine alle responsabilità che, l’assunzione del ruolo di membro del CdA di una società, ancorché provo di deleghe, porta inevitabilmente con sé.

A cura dell’avv. A. Giorgis

Cassazione n. 23014-2023